La narrativa della morte

La morte per alcuni è un punto di arrivo, per altri un punto di partenza, per le agenzie funebri un punto d'incontro. La morte più che un mistero dovrebbe essere un ministero. Assolve peccati e peccatori, equilibra le condizioni di chi vi prende parte. Per i più sofferenti è un premio, per altri una iattura, per alcuni una fine e per altri un reinizio, in sostanza una processione di puntini di sospensione.

Possiamo dire che è una costrizione sedentaria, un poco narcisistica, per l’autoreferenzialità che richiede, sgaulcisce vestiti e spettina chiome fluenti e anche quelle poco influenti, risulta meno invasiva per i calvi, che possono dormire sempiterni sogni tranquilli.

Aggiungiamo che le eventuali salite e discese verso le alture celesti, misurano le vertigini delle credenze, l'esperienza è come una clessidra, da qualunque parte la giri, inesorabilmente si deposita dentro di noi, riempiendo e svuotando luoghi comuni e opinioni.

A differenza di qualunque altro fondo di investimento, la morte garantisce al 100% l’eternità. Negli anni 90 scrivevo in un monologo che l'eternità esiste anche in certi semafori rossi. Oggi mi sentirei di sottolineare che certi semafori rossi, servono anche per gelocalizzare la pazienza, cosi come lo stridere dei pneumatici misura macularmente l’impazienza.

Il trionfo della morte

Uno dei primi maestri della morte è un pittore anonimo, forse perché la morte non lascia firme e nemmeno tracce,ma solo incombenze.

“Il trionfo della morte”, è un affresco del 1400 circa, custodito in una sala di Palazzo Abatellis a Palermo. Si vede la morte in groppa ad un cavallo imbizzarrito, che lancia le sue frecce, senza nessuna distinzione di classi sociali, sulle persone intente a festeggiare. Ogni visione dell' opera, è una seduta psicanalitica, senza lettino e soprattutto senza psichiatra. Del resto, la morte è l'assenza per antonomasia.

Il trionfo è danza della morte

Altra opera testamentale è “il trionfo e danza della morte”, che rende quantomai iconografica la morte stessa, attraverso una danza. L'opera è suddivisa su livelli differenti, quasi danteschi. In questo caso risulta conosciuto il nome dell'autore: Giacomo Borlone de Buschis. La “lap dance” mortuaria, di poco successiva a quella custodita a Palazzo Abatellis, evidenzia il macabro e ne riproduce una suggestione, attraverso parallelismi con la vita, sottintendendo una certa continuità o contiguità come in una commedia forse divina .

Il trionfo della morte è anche un romanzo di Gabriele D’Annunzio, dedicato all'amico pittore Francesco Paolo Michetti, questo a testimonianza che la pittura e la scrittura si stringono nella stessa mano, finché morte non li separi.

Del resto,come aveva pensato qualcuno prima di me, la vita è, a suo modo, una cronaca di una morte annunciata, con il dilemma esistenziale, se il trionfo è la fine o il fine. In fondo, la pittura e la scrittura cercano la vita… ma finiscono spesso per accontentarsi del “cielo” che le ricopre.

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