Meta viaggio dalla Rai a Netflix

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Di Gianluca Parravicini

Nasce prima la televisione o il telespettatore? La televisione nasce come elettrodomestico, ben presto diventa un vettore di comunicazione, determinando una diffusione magmatica di un sapere che da colloquiale diviene collettivo. Nell’Italia post bellica, la lingua italiana era destrutturata da localismi dialettali, che con il diffondersi delle prime programmazioni televisive cominciano a conformarsi con la lingua italiana, i vocabolari abbandonano le librerie per evolversi in forme audio visuali, dove i sacerdoti catodici diventano i presentatori televisivi, Mario Riva, Mike Bongiorno, Corrado, per citarne alcuni. Il pensiero comune da catartico diviene catodico, filtrato dalla profilassi cattolica che inizialmente censiva e censurava a suo dire le forme troppo esplicite o implicite di un pensiero che doveva in qualsiasi caso essere assoggettato ad una estensione morale rigidamente controllata.
Le prime sperimentazioni televisive sono state fatte nel 1934, dall’Eiar, l’ente pubblico del regime, l’evoluzione e l’industrializzazione del prodotto televisione si è definito dopo la fine della seconda guerra mondiale, dove le esigenze di catechizzare il pensiero comune e le coscienze avevano bisogno di un modello comune che si definisse in immagine, la Rai era la nuova azienda pubblica creata per ripartire e diffondere questo nuovo medium. Il modello di riferimento americano era ancora lontano, negli Stati Uniti la televisione era nata 10 anni prima, nel 1948, arrivando a vendere 3 milioni di televisori nel 1950, 27 milioni nel 1953, determinando quello che Malcom Gladwell definirebbe: il punto critico. Così che i singoli stati erano collegati tra loro non solo dalle condutture del gas e dai cavi della luce, ma anche dai cavi della televisione, ponendo cosi le basi per una nuova società, quella dello spettacolo.
L’italia era un paese frammentato, la radio nelle sue onde medie e onde corte riversava musica, informazione, qualche programma di intrattenimento ma non era in grado di produrre quel melting pot mediatico del quale è stata poi capace la televisione. La cultura delle masse si esprimeva principalmente sotto forme di dissoluta ignoranza, la televisione offriva così la prima lavagna sulla quale sillabare la nuova politica, che oggi definiremmo meta democrazia.
Dall’oggetto televisione allo spettatore

La televisione in Italia nasce ufficialmente nel 1954, ma è con la nascita del secondo canale che comincia a raggiungere le case degli italiani, determinando in prima istanza una riforma degli arredi domestici, per produrre poi quel processo di alfabetizzazione collettiva necessaria a produrre quella cultura popolare che Andy Warhol aveva poi genialmente sintetizzato con la Pop Art. Fabbricare la televisione era stato si difficile, ma ora le difficoltà si facevano ancora più imponenti, perché occorreva fabbricare i telespettatori.
Alberto Manzi con il suo “Non è mai troppo tardi”, lezioni di lingua italiana, ha gettato le basi per cementare la lingua italiana con gli italiani, creando le basi per quell’evoluzione da cittadino a telespettatore. La televisione ha iniziato a vendere l’immagine della politica attraverso prima i telegiornali e poi le tribune politiche, la prima fu nel 1960. Il grigiore istituzionale del parlamento si mediava con il bianco e nero della televisione: iniziava cosi il fenomeno della popolarità televisiva che un tempo era solo attribuita al cinema.
Con la nascita dei primi giochi, in seguito chiamati quiz e varietà, la televisione arricchisce di contenuti e qualità le sue offerte di intrattenimento per un pubblico che iniziava non solo a guardarla, ma anche a commentarla, riconoscendole un ruolo sempre più centrale all’interno delle quattro mura domestiche, iniziando a rendere sempre più subalterne le conversazioni familiari a favore delle voci che uscivano dalla tv.
Diversificazione, pubblicità e PayTv

Nel divenire la televisione ha sempre più arricchito le sue offerte, attraverso la serializzazione e in seguito la formattazione di programmi profilati per bambini, famiglie, sportivi, ottenendo una piena e completa indicizzazione della sua popolare diffusione nelle case con la nascita delle tv commerciali. Il telespettatore nella sua ulteriore osmotica evoluzione assume le sembianze dell’uomo consumatore, la pubblicità diviene la succedanea azionista della televisione, dopo la politica partitica, le produzioni televisive negli anni 80/90 iniziano a ricercare più l’indice di gradimento mediatico, rinunciando quasi sempre ad una ricerca qualitativa, che si esprimeva solo in isolati casi, utili semplicemente a ricercare un equilibrio qualitativo tra le varie produzioni televisive settimanali.
Nella metà degli anni 90 nascono le prime tv a pagamento, PayTv, che producono il primo sottogenere del telespettatore, il tele consumatore, l’utente delle tv a pagamento, una delle prime in Italia è stata Telepiù. Il tele consumatore paga un canone mensile per una programmazione di cinema in anteprima e sport, su tutti il calcio. L’offerta qualitativa è superiore, le masse dei tele spettatori, abituate alle produzioni più commerciali e disabituate a pagare per produzioni televisive, che non siano di produzione pubblica, non acquistano l’abbonamento al canale, pertanto, a seguito di varie vicissitudini giudiziarie, Telepiù fallisce la sua “mission”, ridefinendosi in una nuova entità chiamata Sky Italia (2003).
Ed ecco nascere l’attuale ridefinizione del telespettatore, il cliente. L’uomo cliente rispetto all’uomo telespettatore è iconicamente più esigente, danaroso, ricerca una qualità estetica e sostanziale, agisce sotto gli influssi di un egoriferito, prende le distanze dall’uomo tele spettatore, il suo senso critico viaggia dal rispetto al rigetto per qualunque cosa che ritiene inadeguata e involuta, è poco conciliante talvolta anche con il call center della società della quale è cliente.
La riforma della televisione: nascono Netflix, gli uomini utenti e i gamers

All’alba del XXI secolo la copernicana rivoluzione nel mondo delle telecomunicazioni inizia a bussare alle porte dell’uomo cliente, il quale è un soggetto facile alle seduzioni tecnologiche e con il passare di un decennio la sua capacità di interconnessione con le reti globali raggiunge il suo primo consolidamento, per poi ridefinirsi e cablarsi nella metà del secondo decennio degli anni 2000, con la crescita esponenziale della piattaforma Netflix. L’uomo utente, ora sotto genericamente definito anche internauta, raggiunge cosi la sua placentare agorà, circondato dalla produzione di film e serie televisive che divaricano esponenzialmente le distanze con il vetusto uomo telespettatore, il quale risulta dormiente e assiso all’invecchiata poltrona, mentre l’uomo utente, interconnesso, iperattivo, iper stimolato, avanza con il capo chino sul proprio smartphone alla ricerca dell’ultimo episodio della serie preferita.
Sul finire del secondo decennio si configura un ulteriore sottogenere dell’uomo utente, l’uomo gamers. I videogiochi interattivi raggiungono e si impongono sempre più grazie alle loro attrattive e seduttive grafiche e alle sinergiche alleanze con le seriali produzioni televisive che fanno sentire l’uomo gamers coinvolto e protagonista assoluto in una meta realtà che gli offre quello spazio e quel protagonismo che l’avara realtà offline gli nega. Con l’uomo gamers si decentralizzano le prospettive: per la prima volta è lo spettacolo che diventa spettatore del telespettatore, ricreando un nuovo processo di alfabetizzazione che conduce l’uomo gamers alla dissociazione dal proprio tempo, ricollocandosi in un meta tempo alternativo, riuscendo cosi a compiere il mito dell’estetica permanente di Dorian Gray, che rinuncia alla propria anima in cambio dell’eterna meta giovinezza.

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